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Valeria SACCHETTI
"Journey to the Lowlands"


"C’è un ritorno alla terra, a un bisogno di socialità che è fatta di momenti di condivisione intorno a un fuoco o seduti sotto un pergolato. Questo luogo offre un tipo di vita che nelle grandi città non è possibile, qui ci si conosce quasi tutti se non per via diretta almeno per sentito dire e questo ti salva, soprattutto nei momenti di bisogno"








"I viaggi ci offrono la possibilità di vedere e scoprire. Valeria Sacchetti ha trovato un Mondo alternativo che pare provenire da lontano, da paesi lontani a noi sconosciuti ma che in realtà è presente proprio qui, accanto a noi. Una realtà così diversa rispetto allo standardizzato e ordinario nostro Mondo di riferimento, da sembrare quasi impossibile al giorno di oggi. Lontano dal freddo e asettico virtuale, dalle narrazioni artificiali e patinate dei media, lontano dalle false mode imposte, esiste un qualcosa di autentico, naturale e libero nel quale la vita ancora viene vissuta e condivisa dagli uomini in diretta connessione con la Natura, che sa di tempi passati, "antichi". Così quelle realtà , pur con le loro problematiche , divengono  esempi di rivolta non violenta contro la dittatura dell'omologazione e chiusura di pensiero che fa strage sempre piu' oggigiorno.   " (V.P)


Il lavoro di “Journey to the Lowlands, tra la via Emilia e il West” ha preso vita all’inizio del 2013.
Questi territori rappresentano una frontiera, uno spartiacque tra Nord e Sud, un limes che già dall’antichità segnava il confine dell’impero romano. Inoltre questo posto è da sempre stato visto solo come un luogo di passaggio, un valico da attraversare, e proprio per tale ragione ancora sconosciuto e selvaggio.
Ho unito in un unico lavoro l’esperienza di vita degli abitanti delle terre basse, i lowlanders appunto, nome che fin dall’inizio compariva nel mio taccuino come altra parola chiave da seguire.
Il filo rosso che accomuna le mie storie è la terra dove queste persone sono nate, o sono venute a vivere per svariati motivi, spesso per immigrazione.
La maggior parte di loro ormai fa parte del paesaggio nel senso che paesaggio e genere umano si sono fusi insieme e raccontano le storie.
Sono storie di anni che si ripetono e dove le stagioni interagiscono tra di loro: la nebbia, le acque dei fiumi, il freddo d’inverno spesso con acque che tracimano, i campi di grano d’estate, il caldo opprimente e il fresco dei pioppeti, le case abbandonate, le roulotte, le case di campagna, e tanti altri luoghi raccontano storie di un’umanità che ha tanti pensieri ma anche tanti sogni, ognuno ha il suo, indipendentemente dall’età. Nei mie scatti ci sono loro e c’è il loro mondo, a volte reale a volte sognato o immaginato. Questo sentire di essere trasportati altrove, come in un'altra dimensione, è un grande potere che ha la fotografia, è capitato che per un istante io e i miei soggetti siamo andati davvero in un altro luogo, pur rimanendo sempre qua, nella nostra pianura. Il lavoro l’ho terminato nell’estate del 2020,  in tutto è durato sette anni.
 
Questo luogo mi ha sempre ispirato le atmosfere western dei film, cieli sterminati, chilometri di terra piatta e una campagna che invade tutto perché qui ci sono solo piccoli centri quindi è il paesaggio che fa la differenza. Le persone vivono all’interno di questo microcosmo e ne diventano parte.
 
Mi interessava costruire un racconto che mostrasse su più piani la vita di questa comunità e per farlo avevo bisogno di spazi, interni ad esterni. Per riuscirci era necessario che questi due elementi dialogassero tra di loro in un continuum fluido, nel quale l’occhio associa i ritratti ai paesaggi e viceversa, perché sono i luoghi che fanno le persone e le trasformano in qualcosa di unico.
 
L’Emilia è una terra che per antonomasia non ha difetti, qui nell’immaginario collettivo tutto funziona, tutto va bene e gli abitanti vivono serenamente.
 
La crisi del 2008 però ha rotto questo equilibrio e il terremoto ha scoperchiato un mondo che probabilmente nessuno voleva vedere, le mafie si erano già da tempo infiltrate nel territorio ma sono state rese evidenti solo con queste scosse che le hanno portate alla luce definitivamente.
 
Come in tutte le società dove il precariato e la disoccupazione diventano il pane quotidiano è facile che l’alcool attecchisca meglio, lo smarrimento con cui molte persone hanno dovuto fare i conti è calato come una nebbia che da una parte ovatta i pensieri però dall’altro produce un senso di fragilità e inquietudine a cui a volte è difficile scappare.
Sempre più giovani o meno giovani decidono di spostarsi a vivere in campagna con le loro famiglie, per dare ai figli quello che forse loro non hanno avuto. C’è un ritorno alla terra, a un bisogno di socialità che è fatta di momenti di condivisione intorno a un fuoco o seduti sotto un pergolato. Questo luogo offre un tipo di vita che nelle grandi città non è possibile, qui ci si conosce quasi tutti se non per via diretta almeno per sentito dire e questo ti salva, soprattutto nei momenti di bisogno. E’ un popolo generoso, tenace, silenzioso perché proviene da un mondo contadino che ancora resiste, l’insegnamento dei nostri antenati vive ancora come un eco lontano. Chi riesce a sentirlo si salva.







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