Simone D'ANGELO
“…Dal primo giorno di quarantena mi sono dato due sole regole: non pensare troppo al “dopo” e non accettare videochiamate. All’inizio l’eccezionalità della situazione è stata una scossa di adrenalina, poi col passare del tempo è scesa e lentamente ci si abitua.
In campagna, dove vivo, gli effetti visivi del coronavirus sono meno eclatanti e questa decentralità rispetto agli eventi per un fotografo può essere frustrante. Viceversa le stradine adiacenti sono una piccola valvola di sfogo per vincere il senso di claustrofobia. Ho iniziato a fotografare ciò che si trova all’interno del perimetro di casa, o poco al di fuori, senza l’idea di voler raccontare qualcosa. È stata piuttosto una diversa forma di ginnastica che ha reso più sopportabile l’isolamento.
Comunque, alla fine, un paio di videochiamate le ho accettate….”
Il tempo è il pilastro dell’esistenza. E’ il metro della vita e della storia universale. Il suo scorrere costante ed inevitabile legato indissolubilmente all’entropia conduce al decadimento fisico accompagnando tutto l’esistente verso l’equilibrio termodinamico e la quiete eterna. Tutto il mondo fisico è immerso all’interno dello scorrere di questo fiume poderoso dal quale non è possibile per nessuno fuggire ed oltrepassarne gli argini invalicabili.
Attraverso la creazione di un tempo relativo, psichico e personale l’essere umano ha la possibilità di ingannare e alleviare la famosa freccia del tempo diminuendo in modo virtuale e mentale la sua velocità di scorrimento. Un tempo diverso quindi, rallentato e “allungato” che produce conseguentemente cambiamenti personali e sociali, interiori ed apparenti. Uno fra tutti l’accresciuta possibilità di riflessione.
Il presupposto essenziale per fare ciò è insito sicuramente nella condizione di un ritiro individuale completo dalla “corrente” maggiore del poderoso fiume, ovvero quella generata dalla società.
La grande novità dell’emergenza Coronavirus ed in particolare del periodo di quarantena che ha costretto tutti a prendere una pausa forzata rispetto certe dinamiche e ritmi consolidati del “tempo sociale” è stata proprio quella di sperimentare un’altra dimensione temporale, “diversa” e mai verificatasi prima nel mondo moderno. Così, il tempo, “arrestandosi” durante la quarantena, ha generato una situazione di assoluta irrealtà che ha investito e caratterizzato le vite della maggioranza degli esseri umani abitudinari di una “normalità” frenetica contraddistinta da una velocità ossessiva-compulsiva che investiva e travolgeva tutto e tutti.
Il fotografo Simone d’Angelo è riuscito indubbiamente nell’impresa di sfruttare al meglio questa nuova e particolarissima situazione documentando attraverso un linguaggio riflessivo e di estrema profondità e sensibilità una fase storica importante e assolutamente mai sperimentata prima. L’attenzione del fotografo si è concentrata essenzialmente riguardo l’insieme di tutte quelle cose che gli sono gravitate intorno durante quei giorni. Confinato nella sua casa in campagna Simone ha costruito un racconto spontaneo e meditativo allo stesso tempo muovendo dall’osservazione di quegli oggetti e presenze animali situati all’interno di un perimetro domestico “apparentemente” banale.
Ma è proprio la scoperta e la” luce nuova” che la banalità assume quando si ha maggior tempo per osservare e concentrarsi su se stessi e sul mondo che ci circonda a suscitare un senso di meraviglia e stupore. Procedendo così nello scoprire nuovi e inosservati dettagli si sperimenta un nuovo modo di vedere in termini di maggior profondità e chiarezza che investe l’ordinario di un aumentato grado di interesse e attrattiva; un quid straordinario e manifesto ma inafferrabile e sfuggente seduce ed attira l’osservatore nel racconto. Una misteriosa forza tendente al meraviglioso, al romantico, riflesso della particolare condizione e predisposizione dell’osservante fotografo che pare indagare il Mondo per la prima volta sembra poi aleggiare incredibilmente.
Il “tempo nuovo” quindi è stato il responsabile di una diversa presa di coscienza di tutto ciò che prima del virus veniva dato per scontato o risultava invisibile ad uno sguardo iper –accelerato . Da qui poi il riconoscimento soggettivo di un processo di crescita e arricchimento che giunge all’inatteso ed al sorprendente: l’ amare il Virus (“Or: How I Learned to Stop Worrying and Love the Virus”).
Un’altra particolarità del lavoro di Simone D’Angelo si manifesta inoltre nel concentrarsi esclusivamente sullo sguardo assunto durante la situazione emergenziale piuttosto che sul mostrare o riprendere se stesso, il suo corpo o quello di altri impegnati nell’affrontare la singolare esperienza vissuta durante l’isolamento.
Uno sguardo poetico che si posa su di una siepe ed un ramo di ciliegio illuminati da una luce viola fiabesca; su di un rospo e un cane che assumono espressioni quasi umane simulando stati d’animo di tristezza e preoccupazione dovuti all’emergenza virus.
C’è inoltre silenzio ed immobilità; si avvertono, si percepiscono con gli occhi, con il cuore.
Tutto sembra essere congelato ed in attesa di una ripartenza e liberazione. Si tratta di un racconto raffinato, sviluppato in assoluta libertà cominciato senza la pretesa di “raccontare qualcosa” ma che finisce per raccontare molto, scandito da un tempo personale dilatato composto di momenti sospesi ed enigmatici, di sensazioni intime, captate e raccolte come testimonianza di un periodo epocale che forse finalmente non vivremo piu’. Forse. (VP)