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Giuseppe SABELLA
"Il ritorno di Icaro"






Il "materiale" che Giuseppe Sabella ha davanti agli occhi, specificatamente popolare, culturale conserva necessariamente le tracce di epoche lontane, remote, antichissime. E osservando bene, dopo studio di quella antichità e delle storie di quel passato remotissimo, si puo' arrivare a scorgere forme, ombre, presenze sfuocate ed esseri mitici ripresentarsi nel presente. Perchè il passato non è mai passato del tutto, le sue tracce storiche e culturali persistono eternamente e sottendono un presente nel quale queste si esprimono ancora, raccontando l'uomo nel suo complesso; un racconto diverso nelle forme ma sempre identico nella sostanza.  (V.P)


"...Ci sono storie che non possono essere raccontate al tempo presente e nemmeno basarsi sull’attendibilità di un ricordo. Ci sono storie che sono sempre “fuori luogo” e immerse in un tempo prima del tempo da cui vengono e a cui ritornano. Storie mai vere e mai false, mai concluse anche quando giungono alla fine. Queste storie non si affidano al logos ma hanno la forma del mythos: si situano in quella regione inconsistente della mente composta di visioni non vedute e di silenzi uditi. Ci sono terre che accolgono queste storie come si accolgono i naufraghi che sbarcano esausti su un’isola dopo giorni di mare in tempesta. Stanche, confuse, deliranti, inquietanti, queste storie riemergono dagli abissi per riappropriarsi del mondo.
 
Icaro è morto ed è costretto a vagare: non è stato possibile dare sepoltura al suo corpo e quindi non è mai arrivato a destinazione nemmeno nell’aldilà. Dedalo è un padre distrutto dal dolore: uomo di ingegno e di progetto, non ha più niente da costruire né pietre a cui dare un’anima. Davanti al tentativo di scolpire la storia del figlio ci dice Virgilio nell’Eneide,  «bis patriae cecidere manus» (“due volte caddero le mani paterne”). Profugo , naufrago e fuggitivo Dedalo trova rifugio sugli scogli della Sicania e riceve ospitalità presso la reggia di Camico «ai tempi miei abitata da agrigentini» scrive Erodoto. Con gli occhi bruciati dalla salsedine e dal pianto, con la mente alterata dalla paura e dal rimorso, in fuga dai cretesi che lo inseguono Dedalo percorre per la prima volta la Sicania. E li vede. Un promontorio avvolto dalle nuvole compare d’improvviso, una strada impervia si contorce come un serpente, l’amore randagio lo sorprende, un cancello si apre verso l’ignoto, i ricordi si sovrappongono, il figlio gli si fa incontro nella forma del frammento e della visione.
 
Giuseppe Sabella vive dalle parti di quella che un tempo fu Camico e sa probabilmente che il mito non ha logica ma si avvolge su se stesso come una spirale, ispirando i luoghi e le persone e da questi venendo  a sua volta riportato a nuova vita. La Sicania / Sicilia è ancora oggi terra di sbarchi e approdo di naufraghi e su qualche spiaggia starà ansimando Dedalo inseguito dalla vendetta di Minosse.
 
Il mito si insinua tra gli interstizi del reale e del quotidiano. Icaro ritorna in questi interstizi: tra le strade che percorrono un territorio non più selvaggio ma non ancora addomesticato, tra i residui delle feste popolari, tra le imprevedibili rivelazioni dell’arte. Sabella esplora questo confine ponendosi nello spazio di mezzo, ibetweein, che è proprio del mito. Le sue immagini si pongono sempre “tra” qualcosa e qualcos’altro. Nelle immagini che compongono Il ritorno di Icaro si sovrappongono i modi dell’esperienza quotidiana e quelli della visione, i tempi dell’uomo e quelli del mito, il valore d’uso e il valore simbolico delle cose e degli spazi. La terra che percorre Sabella contiene già queste ambiguità ma è lo sguardo del fotografo che riesce a manifestarle. Nel compiere questa operazione sono ravvisabili alcuni elementi ricorrenti che possono essere descritte come deliberate scelte stilistiche.
 
Partendo da un’esplorazione del reale, Sabella frammenta e decontestualizza le immagini per reinserirle in un contesto altro ma non avulso. Il referente esterno la strada, il cancello, i cani che si accoppiano è messo al servizio di una narrazione che allude a storie antiche e radicate nei gesti e nelle forme di quella realtà inconsapevole: il mito è presente in quell’ala d’angelo senza che, chi la trasporta, ne abbia coscienza. Non si tratta di soltanto di una trasposizione operata mediante la frammentazione  della parte dal tutto ma di un vero e proprio spostamento semantico, come quando ripetendo ad alta voce una parola di senso comune se ne scopre d’improvviso la profondità etimologica o qualche inatteso segreto che porta quella parola lontana dal suo uso quotidiano..."
(Vittorio Iervese)















         


















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